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Cambiamento climatico in azione: le analisi del 2023 tra impatti e azioni del PNACC

Aggiornamento: 5 mar

L'anno 2023 ha segnato un nuovo record di temperatura in Italia, secondo i dati dell'Istituto ISAC (Institute of Atmospheric Sciences and Climate) del CNR.

Rispetto alla media del periodo 1991-2020, l'anno appena concluso ha registrato un aumento di 1,14°C. Questo dato supera il precedente record del 2022 (+1°C) e raddoppia quasi le anomalie termiche più elevate degli anni passati, tutte verificatesi dal 2000 in poi (+0,5°/+0,6°C). L'incremento di temperatura è stato più evidente nelle regioni del Nord e del Centro Italia, dove si sono raggiunti rispettivamente valori di circa +1°C e +1,20°C . Tra le regioni centrali, l'Umbria ha mostrato un'anomalia di circa +1°C. Al Sud Italia, invece, l'aumento è stato leggermente inferiore (+1,09 °C), ma comunque significativo.

L'immagine in alto mostra la distribuzione spaziale delle anomalie termiche nel 2023, con i colori che vanno dal rosso chiaro al viola a indicare le aree più calde.


"L'andamento stagionale si è modificato negli ultimi anni. L'inverno si è accorciato di un mese e l'estate si è allungata di altrettanto. Settembre ha assunto caratteristiche estive e dicembre quelle autunnali. Il 2022 e il 2023 sono stati tra gli anni più caldi a livello globale e anche la nostra regione ha subito questo fenomeno – afferma l'esperto di Umbria Meteo, Fabio Pauselli –. Il riferimento è al trentennio 1990-2021 e da una prima analisi risulta che l'incremento termico in questi ultimi 24 mesi è stato rapido e ha raggiunto quasi un grado centigrado: si tratta infatti di una variazione positiva compresa tra 0,7 e 0,9°C .

"Possiamo dire che questo è stato il periodo più caldo degli ultimi 150 anni, da quando cioè si effettuano le misurazioni meteorologiche.

La posizione geografica della regione - spiega Pauselli - l'ha favorita consentendo una media termica leggermente inferiore a quella del resto del Paese, grazie alla minore influenza del riscaldamento delle acque marine. Per quanto concerne invece le precipitazioni, si è registrata una riduzione dei giorni di pioggia, ma con fenomeni più intensi e violenti, spesso di natura temporalesca".

 

Un aspetto critico dei cambiamenti climatici è la velocità e la frequenza con cui si manifestano i fenomeni meteorologici estremi, come evidenziano i dati della temperatura in Italia. Secondo il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), la media delle temperature annuali nel periodo 1961-1990 era di circa 13°C, mentre negli ultimi 30 anni si sono registrate medie con picchi superiori di 1,7°C. Se questa tendenza dovesse proseguire, entro la fine del secolo le temperature medie potrebbero salire fino a 5,9°C.

Se invece si riuscisse a intervenire per tempo sulle emissioni secondo CMCC si riuscirebbe a mantenere per tutto il secolo un equilibrio tra +1,3 e 1,7°. L'Italia è infatti il Paese europeo più vulnerabile agli impatti economici delle alluvioni. Se la temperatura globale aumentasse di 3°C entro il 2070, le infrastrutture italiane subirebbero danni diretti molto elevati. Secondo le stime, la perdita attesa di capitale infrastrutturale sarebbe compresa tra 1 e 2,3 miliardi di euro all'anno nel periodo 2021-2050, e tra 1,5 e 15,2 miliardi di euro all'anno nel periodo 2071-2100 (fonte CMCC-Foundation).


G20 CLIMATE RISK ATLAS CMCC 2021

Tra gli eventi recenti più rilevanti si ricorda in Umbria il nubifragio del 23 giugno 2023 avvenuto tra Assisi e Bastia Umbra, che ha scaricato piogge intense sul bacino del Tescio per ore. (RaiNews, 2024).

Un fenomeno, quello delle precipitazioni improvvise e particolarmente intense che, secondo gli esperti, sarà sempre più frequente e imprevedibile nei prossimi anni.

Nubifragi che spesso non determinano un aumento generale delle precipitazioni al contrario: le piogge torrenziali sono spesso alternate a periodi prolungati di siccità, compromettendo quindi il rifornimento delle risorse idriche.


I centri urbani, che ospitano il 56% della popolazione italiana, sono non solo i principali fornitori di servizi alla comunità ma anche zone altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici. Questi luoghi, definiti "hot-spot" climatici, sono esposti a rischi elevati a causa della prevista intensificazione di eventi climatici estremi nel corso dei prossimi decenni, in particolare ondate di calore e precipitazioni intense.



L'ambiente urbano, caratterizzato da una maggiore presenza di superfici impermeabili come cemento e asfalto, e da una limitata presenza di aree naturali come suolo e vegetazione, è più caldo rispetto alle zone rurali circostanti. Questo calore, derivante dalla radiazione solare accumulata sulle superfici urbane, si aggiunge a quello prodotto dal traffico, dalla climatizzazione degli edifici e dalle attività industriali, generando l'effetto noto come "isola di calore".

Le ondate di calore, attese in aumento nei prossimi anni secondo i più recenti studi sui prossimi scenari climatici, rappresentano una minaccia critica per la salute nelle aree urbane, contribuendo al rischio per la salute delle persone e in particol modo dei più vulnerabili, come anziani, bambini e soggetti con mobilità limitata.



Il Piano Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC), approvato recentemente dal Ministero dell'Ambiente e dello sviluppo energetico, rappresenta un elemento chiave per indirizzare le politiche pubbliche e gli investimenti privati verso una transizione ecologica che sia in grado di affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici. Il PNACC definisce gli obiettivi, le azioni e gli strumenti per aumentare la resilienza del Paese agli impatti attesi e futuri del riscaldamento globale, in linea con gli impegni internazionali assunti dall'Italia.

"I dati snocciolati dal PNACC sono tutt’altro che rassicuranti. Dopo aver riassunto il contesto giuridico di riferimento a livello internazionale, europeo, nazionale e locale, il Piano dettaglia il quadro climatico e propone proiezioni e stime che non fanno presagire nulla di buono se non accompagnate da azioni sistemiche in grado di mitigare i rischi e accompagnare l’adattamento a un climate change che ormai sembra irreversibile e che sta causando impatti negativi sui sistemi ambientali e socio-economici"- dichiara Amedeo di Filippo, direttore amministrativo di Arpa Umbria.


Questi i dati più eclatanti:

  • la durata e lo spessore della neve si sono fortemente ridotti così come lo stock idrico nivale, i ghiacciai hanno infatti già perso circa il 40% del loro volume;

  • in Italia si impiega oltre il 30% delle risorse idriche rinnovabili disponibili, ben superiore alla soglia del 20% indicata dagli obiettivi europei;

  • negli ultimi vent’anni le ondate di calore marine sono raddoppiate in frequenza e sono diventate più durature, più intense e più estese, con cambiamenti nella struttura delle comunità marine, “tropicalizzazione” delle specie, modifiche delle tecniche e degli obiettivi di pesca;

  • l’innalzamento del livello del mare e l'aumento della frequenza degli eventi estremi hanno forti impatti sul sistema fisico costiero;

  • il cambiamento climatico ha un impatto diretto sul rischio geologico, idrologico e idraulico ed è il fattore che ha maggior influenza sui sistemi naturali, così contribuendo all’attuale crisi della biodiversità;

  • l’agricoltura italiana è una delle più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici a livello europeo.

E poi ci sono gli impatti sulla struttura produttiva e sociale: sul turismo, collegabili al clima troppo caldo o instabile, alla riduzione dei giorni di copertura nevosa nelle destinazioni del turismo invernale, all’erosione delle coste ed eventi meteorologici che mettono a rischio le infrastrutture turistiche; sugli insediamenti urbani, a causa della impermeabilizzazione del suolo e della artificializzazione dei corsi d’acqua; su trasporti e infrastrutture, settore per il quale il Ministero stima che l’attuale impatto economico diretto potrebbe aumentare del 1900% entro il 2040-2070; sull’industria, in cui è stato coniato il termine “NaTech” per indicare gli eventi nei quali un disastro naturale innesca uno o più disastri tecnologici, sempre più in aumento; sul patrimonio culturale e il paesaggio, in termini di danni strutturali agli edifici o de-coesione dei materiali; sulla salute, posto che l’Italia ha il più alto costo in Europa da impatti per inquinamento dell’aria. E infine sugli assetti socio-economici, considerato che i cambiamenti climatici creano o aumentano disuguaglianze sociali ed economiche in termini di accesso alle risorse, al lavoro e alla prospettiva di una vita dignitosa.




Come uscirne?

"Il PNACC - spiega Di Filippo - individua due batterie di misure: quelle “sistemiche” che mirano a definire una struttura e dei criteri di governance e a sviluppare le conoscenze; contemplano tre azioni di “rafforzamento amministrativo”:

  • definizione di una struttura di governance nazionale per l’adattamento;

  • inclusione dei principi, delle misure e delle azioni di adattamento ai cambiamenti climatici nei Piani e Programmi nazionali, regionali e locali;

  • definizione di modalità e strumenti di attuazione delle misure del PNACC ai diversi livelli di governo; e una azione di “rafforzamento delle competenze”, costituita dal miglioramento e messa a sistema del quadro delle conoscenze sugli impatti dei cambiamenti climatici, sulle vulnerabilità e sui rischi.

Le misure “di indirizzo” sono contenute nei due documenti che accompagnano il Piano, che contengono le metodologie per la definizione di strategie e piani regionali e locali di adattamento ai cambiamenti climatici, e in un terzo allegato che dettaglia il quadro organico di possibili opzioni di adattamento, con oltre trecento azioni settoriali".

Il Piano poi individua i passi per l’impegno pubblico nei processi di adattamento: stabilire la struttura di governance, sviluppare una strategia e un piano di azione, avviare la cooperazione con le parti interessate selezionando e integrando gli stakeholders, identificare i rischi e le soluzioni. Da qui si passa alle azioni, che vanno implementate e monitorate attraverso la definizione di indicatori, la valutazione degli effetti, l’individuazione di azioni correttive, la comunicazione dei risultati.

"Il PNACC si aggiunge a una nutrita serie di documenti adottati sia a livello nazionale e regionale che europeo, che - sottolinea il direttore amministrativo di Arpa Umbria - costituiscono il segno della progressiva consapevolezza delle istituzioni e dell’opinione pubblica nei confronti della centralità assunta dalle tematiche ambientali, che rende ormai matura anche la riflessione sul ruolo delle Agenzie regionali per l’ambiente, destinate ad abbandonare una connotazione meramente difensiva di protezione dell’ambiente per perseguire ambizioni di promozione del sistema ambientale e di “proazione”nei confronti delle comunità regionali in tutte le loro articolazioni".


Per la Redazione - Chiara Maria Sole Bravi


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