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Il mondo del troppo e quello del poco

Aggiornamento: 10 giu 2023

di Diego Zurli




Un recente convegno tenutosi a Trevi ha offerto una serie di importanti contributi sul tema della siccità prodotta dai mutamenti climatici.

La giornata, organizzata dal Comune, dal Consorzio della Bonificazione Umbra, dalla Valle Umbra Servizi con il patrocinio dell’Università La Sapienza di Roma e del Centro Interuniversitario per la Formazione Internazionale, ha ricordato due straordinarie personalità come quella di Filippo Arredi – insigne accademico vissuto a lungo a Trevi - e quella di Giuseppe Zamberletti, accanto ad altre non meno importanti, ma dal diverso profilo professionale, come Giulio de Marchi e Giuseppe Medici, le quali hanno incarnato sotto molti aspetti alcune tra massime espressioni dell’ambito di attività che, comunemente, si è soliti far rientrare nella accezione di “bonifica”.


La definizione di bonifica, come è noto, ha per oggetto l’insieme delle azioni compiute nei secoli dall’uomo al fine di rendere buono il territorio regimando ed impiegando per fini produttivi le acque portando benessere e prosperità. Questioni di grande complessità che ricomprendono le problematiche del rischio idraulico, la realizzazione delle infrastrutture di accumulo della risorsa, quelle per la difesa dagli eventi alluvionali e più in generale le politiche di tutela e di gestione della risorsa idrica, le quali andrebbero, per quanto possibile, mantenute inscindibilmente legate ed affrontate nel loro insieme. “ Il mondo del troppo e quello del poco “ per usare una felice espressione di Giovanni Menduni.


Nel mio intervento al convegno, ho rubato una brillante metafora tratta da un recente saggio scritto da Mino Virili - uno storico locale che si è occupato a lungo dell’area ternana – coniata a proposito del complesso sistema insediativo che lega la città di Terni, il lago di Piediluco e la piana Reatina attraverso due sistemi fluviali e antropici che si incontrano in un nodo di grande suggestione: la Cascata delle Marmore.


Nella mitologia greca, la seconda fatica di Ercole ha per oggetto la lotta e l’uccisione dell’ Hydra rappresentando simbolicamente il rapporto tra l’uomo e l’acqua. Il mito racconta della lotta tra l’eroe e il mostro che viveva nelle paludi di Lerna. Quest’ultimo, che rapinava bestiame e distruggeva i raccolti seminando morte e malattie tra gli abitanti, viene comunemente rappresentata da un serpente con molte teste, le quali avevano la tremenda caratteristica di rinascere dopo essere state tagliate. Ercole riesce a reciderle tutte, tranne l’ultima che era immortale, seppellendola sotto un enorme masso. La lotta dell’Eroe con l’Hydra rappresenta metaforicamente il “bonum facere” da cui deriva l’espressione “bonifica”. Ma la lotta non finisce con l’uccisione del mostro, in quanto la sua testa immortale è solo sepolta ed è pronta a rinascere ogni qualvolta l’uomo allenterà la guardia, riproponendo il tema dell’acqua nemica. In questo senso, il mito incarna l’eterna lotta fra l’uomo e le acque, cioè l’azione secolare di domare e piegare la forza delle stesse ai suoi scopi per rendere abitabile il proprio ambiente di vita. Nel contempo, simboleggia la continua minaccia di tale elemento sempre pronto a trasformarsi nel mostro solo apparentemente sconfitto, ricordandoci che questo rapporto, eterno e conflittuale, non è mai completamente risolto.


Non esiste, a mio personale giudizio, allegoria più efficace per spiegare il senso e la missione della bonifica.


La storia ci insegna che la modernità italiana si è interamente fondata sulla trasformazione dei fiumi della penisola - in particolare per produrre energia idroelettrica - e, in tempi meno recenti, sulle bonifiche idraulico-agrarie. Tramite tali attività, nel ventesimo secolo, l’ingegneria ha plasmato il paese accompagnandolo nella transizione da una società essenzialmente agricola ad una società industriale. Ma oggi, in tempi di mutamenti climatici, occorre essere consapevoli che le soluzioni del passato e le stesse infrastrutture di cui possiamo disporre sono per lo più la risposta ai problemi di ieri. Perché i problemi e la loro dimensione non sono più gli stessi. La tesi che si intende sostenere, pertanto, è che una profonda trasformazione del sistema di gestione dell’acqua rappresenta la condizione indispensabile per far fronte alla transizione ecologica indotta dai cambiamenti climatici nel ventunesimo secolo.




Nell’anno appena trascorso, abbiamo assistito a due fenomeni apparentemente contraddittori: la siccità e poi, subito dopo, le alluvioni e il dissesto idrogeologico causato dalle intense precipitazioni che hanno interessato diverse aree del paese. Molti studiosi convengono sul fatto che siamo di fronte ad un sistema che non è più in grado di adattarsi alle nuove condizioni ambientali e di conseguenza va in gran parte ripensato. Per un po’ di tempo, i mezzi di informazione ne hanno parlato e la politica, sulla spinta dell’opinione pubblica, se ne è interessata. Poi, finita l’emergenza, più niente. Fino quando torneranno nuovamente ad occuparsene in occasione del prossimo evento estremo.


Si sente spesso ripetere il ritornello: “La natura causa la siccità, ma la scarsità è causata dall’uomo”. Secondo le stime di alcuni autorevoli centri di ricerca, l’Italia conoscerà nei prossimi anni una forte variabilità delle precipitazioni: avremo troppa acqua quando non serve e non ne avremo abbastanza quando, al contrario, ne avremmo grande bisogno. Le infrastrutture di cui disponiamo potrebbero pertanto essere non più adeguate: penso, tra le tante questioni, alle grandi dighe che hanno in media settanta anni e in genere non godono di una adeguata manutenzione. Per non parlare degli acquedotti o delle stesse opere di difesa idraulica dimensionate su eventi associati a tempi di ritorno probabilmente non più affidabili. La sfida di oggi è pertanto quindi quella di dotare il paese di nuovi strumenti e, all’occorrenza, anche di nuove infrastrutture che permettano di affrontare uno scenario d’insieme che si è profondamente modificato.


Occorrerà certamente definire una pianificazione basata su nuovi profili di rischio, prevedere investimenti in infrastrutture idrauliche che mettano in conto precipitazioni maggiormente variabili, accumulando acqua quando piove per disporne quando non c’è: in estrema sintesi, di una diversa gestione del territorio e delle sue risorse che consideri lo sfasamento ormai palese tra domanda ed offerta, tra bisogni e disponibilità compiendo un cambio di passo nel modo di affrontare problemi di grande complessità come quelli che attengono alla realizzazione ed alla successiva gestione delle infrastrutture per l’accumulo, la distribuzione, la gestione della risorsa e quelle della protezione dal rischio idraulico.


Oggi, in più, c’è una novità importante: la Carta Costituzionale, recentemente modificata, ha sancito una nuova attenzione al territorio che diventa capitale ecologico. Anche questo è uno dei grandi temi della transizione perché per le trasformazioni dei fiumi, come sappiamo, si paga un prezzo talvolta piuttosto elevato che comporta modifiche talvolta irreversibili agli ecosistemi; quando si costruiscono opere di sbarramento, infatti, si alterano non sempre in meglio, i regimi idrologici a monte e a valle con la perdita di biodiversità o con pesanti modificazioni del paesaggio.


Concludendo, si apre una fase di grande complessità che metterà a dura prova la capacità della società e delle sue Istituzioni (Stato, Regioni, Consorzi di Bonifica, Comuni, ecc.) di attrezzarsi per far fronte alle profonde trasformazioni imposte dei cambiamenti climatici mettendo in campo nuove idee e soluzioni a problemi di dimensione epocale.


Tornando, per concludere, al mito di Hydra dal quale siamo partiti, gli eroi come Ercole pronti a lottare e a uccidere il mostro, sono stati simbolicamente impersonati dai monaci benedettini del Medioevo, dagli architetti e dagli ingegneri idraulici, campioni dell’uomo nuovo teorizzato dall’Umanesimo, che realizzarono le grandi bonifiche rinascimentali. Quelli dei tempi nostri, che ne hanno in un certo senso raccolto l’eredità sono, tra le altre, personalità del valore di Arredi, Medici, De Marchi o Zamberletti che hanno combattuto grandi battaglie per affermare nel paese una nuova cultura dell’acqua. Con la speranza che, di siffatti eroi, ne possano nascere ancora.

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