Siamo un popolo di sfiduciati o di egoisti?
- Nuove Ri-generazioni UMBRIA
- 13 giu
- Tempo di lettura: 3 min

La storia del passato
Ormai ce l’ha insegnato
Che un popolo affamato
Fa la rivoluzion
Ragion per cui affamati
Abbiamo combatutto
Perciò “buon appetito”
Facciamo colazion…
Viva la pappa col pomodoro
(Nino Rota-LIna Wertmüller) – Rita Pavone, 1965
I referendum dell’8 e 9 giugno si sono chiusi senza raggiungere il quorum. Un risultato amaro, che fotografa un’Italia sempre più distante dagli strumenti di partecipazione democratica, anche quando in gioco ci sono temi fondamentali come il lavoro, la sicurezza nei cantieri e i diritti di cittadinanza.
Il dato ufficiale sull'affluenza nazionale si attesta al 30,6%, ben lontano dalla soglia del 50% più 1 necessaria per rendere validi i cinque quesiti proposti dalla Cgil: dal reintegro in caso di licenziamenti illegittimi, alla riduzione del precariato, all'estensione della responsabilità del committente negli appalti per garantire maggiore sicurezza sul lavoro, fino alla riforma della legge sulla cittadinanza.
Un risultato forse prevedibile, ma non per questo meno allarmante. Stando ai dati resi noti dal Ministero dell’Interno si è rilevata più partecipazione in Toscana (39,1%), Emilia-Romagna (38,1%), Lazio (31,9%) e Lombardia (30,7%); mentre le regioni dove si è votato di meno sono state il Trentino-Alto Adige (22,7%), anche a causa della bassa partecipazione della Provincia autonoma di Bolzano, la Calabria (23,8 %) e la Sicilia (23,1%).
In linea con il trend nazionale, in Umbria l’affluenza ai cinque referendum su lavoro e cittadinanza si è fermata ben sotto il quorum, raggiungendo il 31,2%. L’unico Comune a superare la soglia del 50% è stato Paciano (51,3%), mentre i dati più bassi si sono registrati nelle aree montane come Cascia e Norcia. Nelle grandi città, Perugia ha sfiorato il 34,5%, Terni si è fermata intorno al 30%. Sul piano dei risultati, i quattro quesiti sul lavoro hanno ottenuto un consenso vicino al 90%, mentre per il quesito sulla cittadinanza i Sì si sono fermati al 64%.
La mancata affluenza di questi giorni porta inevitabilmente a interrogarsi: siamo diventati un popolo sfiduciato, disinteressato o egoista?
La distanza tra cittadini e strumenti di democrazia diretta negli anni si è progressivamente allargata. Si parla di disaffezione o sfiducia nei confronti della politica e non è un caso che a campagna referendaria conclusa sia l’opposizione che il sindacato abbiano riconosciuto il valore prezioso delle relazioni allacciate o irrobustite attraverso le settimane di assemblee e incontri con le comunità e i bisogni dei territori.

Del resto, non si può ignorare che su questi referendum il partito del non voto sia stato sostenuto apertamente da ampie fasce della politica di governo. L’appello all’astensione, unito alla scarsissima visibilità mediatica data ai quesiti referendari hanno infiacchito ancora di più lo spirito di partecipazione che la Costituzione indica come «dovere civico», ma questo non basta a spiegarne l’insuccesso.
La delusione per il mancato quorum non cancella la necessità di continuare a lottare per i diritti delle lavoratrici, dei lavoratori e di chi aspira a sentirsi pienamente cittadino di questo Paese. Ma l’esito delle urne sollecita una riflessione profonda sulla necessità di restituire senso e valore al voto, di abbattere l’indifferenza.
In un Paese progressivamente impoverito come è l’Italia, coi salari al palo da trent’anni, si corre il rischio di alimentare guerre fra poveri se non si riesce ad ascoltare e raccogliere il disagio degli ultimi e dei penultimi, si corre il rischio di alimentare distanze e paure, senza una politica capace e una cittadinanza attiva, il rischio di diventare un popolo non solo sfiduciato, ma rassegnato.
In questo senso, la mobilitazione di milioni di cittadine, cittadini, attivisti e associazioni, che hanno sostenuto convintamente i referendum perché ne hanno compreso la portata al di là degli schieramenti politici e la larga partecipazione di giovani e donne al voto, rappresentano una base piuttosto ampia su cui costruire e allargare una prospettiva democratica possibile.
Per la Redazione - Chiara Maria Sole Bravi
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