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Il report di ForumDD: La sfida dell'efficienza energetica alla prova delle disuguaglianze




A partire dall’analisi delle politiche italiane in materia di efficientamento energetico del patrimonio edilizio, il Forum Disuguaglianze e Diversità, nel suo Rapporto dal titoloLa sfida dell’efficienza energetica alla prova delle disuguaglianze, ricostruisce il quadro attuale per delineare gli elementi di una proposta di politica strutturale e di medio periodo, che veda nell’efficienza e nel risparmio energetico una risposta alla povertà e al cambiamento climatico.

Un tema centrale che vede le istituzioni europee impegnate proprio in questi mesi nella negoziazione per raggiungere la versione definitiva della cosiddetta Direttiva edifici green, approvata dal Parlamento europeo il 14 marzo 2023, che prevede di portare entro il 2033 tutti gli edifici residenziali almeno nella classe energetica D. Mentre l’Europa va in questa direzione, il governo italiano ha abolito il Superbonus 110 per cento, una misura che, pur bisognosa di una valutazione e di una riforma, ha dotato il nostro Paese di un piano e di uno strumento di medio periodo su questo tema.

Come il Forum Disuguaglianze e Diversità ha scritto fin dal gennaio del 2021 in occasione della pubblicazione di un documento di valutazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (che include misure per la riqualificazione energetica destinando 13,81 miliardi al Superbonus), per migliorare il Superbonus 110 per cento sarebbero stati opportuni e possibili alcuni interventi come la modulazione degli incentivi per tenere conto delle condizioni economiche del territorio e dei valori patrimoniali degli edifici privati; l’integrazione degli interventi con la riqualificazione degli spazi esterni; l’introduzione di misure per promuovere l’uso del bonus. Sul punto, con una nota di maggio 2021, il ForumDD aveva sottolineato come nel Pnrr ci fosse solo una rapida citazione della povertà energetica tra le motivazioni dell’efficientamento in edilizia, senza prevedere alcuna proposta di contrasto e senza alcuna misura per evitare di destinare il Superbonus solo ai ceti più abbienti.

Oggi la situazione è quella di una grande frammentazione delle misure: si contano oltre venti possibili combinazioni di bonus – compresi quello sui mobili o il bonus verde – con detrazioni variabili da un minimo del 36% a un massimo del 110%. In alcuni casi si tratta di misure permanenti, in altri temporanee e in altri ancora regolate da condizioni destinate a variare nel tempo. Di fatto occorre attendere ogni anno il testo della legge di bilancio per poter conoscere nel dettaglio come la materia dell’efficientamento energetico sarà regolata nei successivi 12 mesi. Questo determina un grosso impedimento per i cittadini e le cittadine alla possibilità di pianificare nel tempo eventuali interventi in maniera informata e consapevole. Crediamo sia necessario un altro tipo di approccio e da qui partiamo per delineare la nostra proposta.

Dal 1998 al 2020: la fase dei bonus regressivi

L’analisi parte dal quadro delle politiche di efficientamento energetico dell’Italia, dove, a partire dal 1998, si sono stratificati una serie di incentivi fiscali per favorire il recupero del patrimonio immobiliare e, dal 2007, per l’efficientamento energetico, con un progressivo innalzamento dell’aliquota di detrazione fiscale e l’ampliamento della tipologia di interventi ammissibili, introdotti spesso con misure temporanee che hanno generato incertezza nei modi e nei tempi di realizzazione. Dall’analisi emerge come tutte queste misure abbiano avuto un carattere regressivo in quanto ne hanno beneficiato maggiormente i contribuenti con un patrimonio immobiliare e con un reddito medio e alto, che, disponendo di liquidità e di capacità fiscale sufficiente, hanno potuto effettivamente scomputare le detrazioni dal debito di imposta.

La svolta del 110%: cessione del credito e inclusione degli incapienti

In questo senso, l’introduzione del Superbonus del 110 per cento (DL 34/2020) ha rappresentato un elemento di discontinuità. Per due motivi in particolare: l’obbligo di aumento della classe energetica dell’abitazione di almeno due classi e la possibilità di cedere il credito a terzi. Questi due elementi hanno fatto sì che anche gli incapienti abbiano avuto accesso all’incentivo. Ne è testimonianza la stima di Nomisma: 1,7 milioni il numero di italiani con redditi medio-bassi che ha beneficiato del provvedimento e la distribuzione geografica è risultata più omogenea rispetto a quella registrata con le misure precedenti. L’unico gap sociale rimasto ha riguardato le difficoltà di accesso alle informazioni per usufruire della misura. E sempre Nomisma ha stimato un risparmio in bolletta del 30,9% per un salto di 2 classi e del 46,4% per un salto di 3 classi, registrando – su stime che riguardano cantieri già conclusi – un risparmio complessivo di circa 29 miliardi, corrispondente a un risparmio medio in bolletta di 964 euro all’anno. A tali miglioramenti di classe energetica corrisponde inoltre un incremento del valore immobiliare, stimato attorno ai 7 miliardi nel caso in cui tutte le unità riqualificate rientrassero precedentemente nelle classi energetiche inferiori.


Anche se non pienamente redistributiva, il Superbonus ha rappresentato l’unica politica strutturale che, intervenendo sui consumi energetici delle abitazioni, ha contrastato e ridotto alcune delle cause della povertà energetica e ha migliorato in modo durevole la condizione abitativa delle fasce più vulnerabili, permettendo un risparmio di spesa a molte famiglie italiane. Secondo alcune stime, infatti, grazie all’efficientamento energetico il settore residenziale potrebbe ridurre i consumi di quasi il 25 per cento entro il 2030. La misura ha inoltre avuto un impatto significativo in termini occupazionali: per Bankitalia, tra il 2019 e il 2022 il comparto delle costruzioni ha registrato aumenti del valore aggiunto e dell’occupazione rispettivamente nell’ordine del 27 e del 18 per cento. Il successo del Superbonus è attestato anche dai risultati in termini di edifici interessati. Ciò si è tradotto in un disavanzo significativo per le casse dello Stato, che sarebbe però in parte riassorbito nel medio-lungo periodo grazie al valore aggiunto generato.

Certo non mancano limiti. Si è trattato di un intervento straordinario, con una tempistica concitata, che ha determinato anche la difficoltà a reperire i materiali e la crescita dei prezzi, con alcune regole sbagliate: assenza di un meccanismo di monitoraggio sui preventivi (come a esempio avviene nei meccanismi di rimborso delle ricostruzioni post-sismiche) e di un tetto di spesa massima a metro quadro, eccessiva timidezza negli obblighi di efficientamento energetico, incentivazione prevista anche per le caldaie a gas, esclusione delle abitazioni senza impianti termici fissi, generosità finanziaria anche verso settori sociali che non ne avrebbero assolutamente bisogno.

Uccidete il Superbonus”

Nonostante questo, il governo Meloni, in sostanziale continuità con quello di Draghi, ha smontato la misura in poche mosse: stop a cessione del credito, allo sconto in fattura e all’acquisizione del credito da parte degli enti locali, e progressivo rientro nei ranghi della detrazione fiscale fino al 2025. Obiettivo: a fine 2023 il viaggio del Superbonus si deve chiudere definitivamente.

Perché, chiede il Forum Disuguaglianze e Diversità nel Rapporto, piuttosto che con un intervento chirurgico e mirato, si è voluto cancellare alla radice l’unica politica che ha sostenuto la ripresa di un settore in crisi e la crescita dell’occupazione nel momento stesso in cui faceva fare passi avanti al paese nell’efficientamento energetico, nella riqualificazione abitativa, facendo sì che tutti i cittadini ne potessero beneficiare? Alcuni elementi per provare a rispondere arrivano dall’analisi di una proposta di legge presentata da alcuni parlamentari della Lega e della bozza del Pniec, il Piano per l’energia e il clima presentato a fine giugno a Bruxelles dal governo italiano. La prima introduce una corsia preferenziale per le famiglie con reddito sotto i 15.000 euro per un incentivo al 100 per cento e cessione del credito, ma al contempo, conferma l’approccio negazionista e sovranista con risultati in termini di riduzione delle emissioni al di sotto degli obiettivi posti dalla direttiva europea sulle case green e tempistiche molto più rallentate e nessuna attenzione all’edilizia residenziale pubblica. Nella bozza ufficiosa del piano integrale del Pniec, (analizzata dal Forum Disuguaglianze e Diversità nella nota “La transizione energetica tra spinte di cambiamento e di conservazione: una introduzione per inquadrare il PNIEC”), invece, si parla di aliquote crescenti in rapporto alle prestazioni energetiche raggiunte, di agevolazioni per le famiglie a basso reddito, di priorità da dare agli interventi su edifici meno performanti, ma si difende a oltranza l’utilizzo delle caldaie a gas.

La proposta

Il Rapporto si chiude con una proposta di politica strutturale che deve essere in grado di mettere in campo una strategia chiara e di sistema, che tenga insieme obiettivi ambientali e abitativi, anche per le fasce economicamente più deboli, identificando con chiarezza gli obiettivi delle misure. In particolare la politica dovrebbe prevedere i seguenti obiettivi: 1) stabilizzazione del meccanismo per l’opportuna pianificazione degli investimenti di operatori di mercato e utenti finali (eventualmente prevedendo incentivi a scalare nel tempo); 2) incentivazione alla ristrutturazione per garantire come minimo il raggiungimento degli obiettivi della direttiva EPBD ed incremento progressivo dell’incentivo in rapporto al miglioramento dell’efficientamento raggiunto; 3) esclusione delle caldaie a combustibili fossili, per incentivare l’elettrificazione dei consumi; 4) adozione di strumenti che garantiscano l’accesso agli interventi a partire dalle fasce di reddito più basso (ed esclusione seconde case) e che non abbiano capitali sufficienti da anticipare, tenendo conto dei limiti delle politiche selettive, che spesso faticano a definire il target sociale in modo appropriato e devono fare i conti con le conseguenze dell’evasione fiscale su strumento di selezione come l’ISEE o il reddito; 5) possibilità di cedere il credito per chi non ha la capienza fiscale sufficiente ad assorbire l’importo incentivato; 6) concentrazione delle risorse pubbliche sull’Edilizia Residenziale Pubblica, con politiche mirate e attraverso la ristrutturazione di strumenti già in essere (come il Conto Termico); 7) integrazione delle politiche che agiscono sulle singole abitazioni, con interventi a scala di comunità e di quartiere, al fine di migliorare – attraverso la riqualificazione energetica – i contesti di vita delle persone, agendo sugli spazi pubblici e sulla socialità.

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(Fonte: Forum Disuguaglianze e Diversità)

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