di Lucio Caporizzi
Il 21 giugno scorso, come ogni anno, è stato presentato da parte di Banca d’Italia il Rapporto annuale sull’Economia dell’Umbria, riferito sostanzialmente al 2022, con qualche “sconfinamento” sui primi mesi dell’anno in corso.
Si tratta di un’occasione di particolare importanza per ragionare sull’andamento dell’economia regionale, considerata l’autorevolezza dell’Istituto e la completezza dei dati e delle analisi contenute nel Rapporto. Non è agevole dedurre un trend chiaro ed univoco, posto che il periodo in analisi è caratterizzato da fattori esogeni di forte impatto.
Abbiamo infatti, da un lato, il “rimbalzo” di attività produttiva determinato dall’uscita dalla pandemia – dopo il forte arretramento del prodotto da essa provocato – e, dall’altro, le pesanti conseguenze della guerra scatenata dall’invasione russa dell’Ucraina, in particolare sulla dinamica dei prezzi. L’andamento del Pil nel 2022 rende bene tale contrastante situazione, con l’avvertenza che si tratta di stime, seppur effettuate con un indicatore di qualità come ITER di Banca d’Italia.
I DATI: Il dato stimato di un aumento del 3,6%, in linea con il corrispondente dato nazionale, riportando il prodotto ad un livello analogo a quello ante pandemia (si ricordi che nel 2020 si era avuto un “tonfo” di – 10%, con punte di – 13% per l’industria e – 14% per il commercio), si compone infatti di un primo semestre con valori trimestrali superiori al 5%, seguito da un secondo semestre in decisa flessione, quando si sono fatti sentire i perniciosi effetti dei forti aumenti di prezzo, in particolare dei beni energetici e di quelli alimentari.
Desta, in prospettiva, preoccupazione la forte dipendenza strategica dell’economia regionale da shock globali che possano comportare interruzioni negli approvvigionamenti e/o ritardi nei tempi di consegna.
Tale problematica viene studiata in un recente studio della BCE che individua i fattori produttivi più esposti a rischio di interruzione/ ritardo negli approvvigionamenti. A partire da tale studio, nel Rapporto si presenta un indicatore che misura la vulnerabilità di ciascun sistema economico regionale in termini di esposizione a possibili difficoltà di approvvigionamento. Tale indicatore presenta per l’Umbria il valore più alto tra tutte le regioni italiane, con conseguente alto rischio di riduzione di prodotto interno lordo. Andamenti positivi presentano comparti produttivi come le Costruzioni, sospinto dagli incentivi fiscali come pure dalla ricostruzione ed il Turismo.
Quest’ultimo mostra un andamento particolarmente favorevole, superando nel 2022 anche il precedente picco di presenze del 2019. L’Umbria, che tradizionalmente veniva vista come una destinazione turistica con debole appeal (al più una sorta di Toscana minore…) ha via via negli anni sviluppato una propria crescente identità distintiva e ciò in conseguenza di una molteplicità di fattori, non ultime le campagne di promozione del prodotto turistico e dell’immagine realizzate dalla Regione da diversi anni a questa parte.
Se le imprese sono riuscite a scaricare sui prezzi gran parte degli aumenti delle materie prime, preservando quindi i margini, tali aumenti sono stati subiti in misura pesante dalle famiglie. In Umbria abbiamo registrato una dinamica inflattiva superiore al dato nazionale, solo parzialmente mitigata dalle misure di sostegno messe in campo dal Governo, così che il reddito disponibile è stimato in calo, per il 2022, dell’1,8% in termini reali, valore questo pari al doppio di quello del Paese.
Gli aumenti di prezzo vengono poi avvertiti più pesantemente dalle famiglie a minor reddito, sia per la minor capacità intrinseca di “ammortizzare” i rincari, sia perché questi ultimi, riguardano voci come le utenze domestiche e i generi alimentari, che incidono maggiormente nel paniere di spesa di tali famiglie.
La quota di nuclei familiari in condizioni di povertà assoluta, in crescita, si è collocata nel 2021al 7%, comunque al di sotto – seppur di poco – del valore medio nazionale (7,5%), valore, però, fortemente influenzato dai pesanti dati delle regioni meridionali.
Tra i tanti focus interessanti contenuti nel Rapporto, si segnala quello sui movimenti migratori dei giovani laureati umbri.
In un Paese – e anche una regione – ormai ossessionati da presunte invasioni e sostituzioni etniche, passa sotto tono un fenomeno ben più rilevante e importante, cioè l’emigrazione dei giovani laureati italiani, in cerca di migliori opportunità professionali e corrispondenti trattamenti economici. Nel confermare un grado di scolarizzazione degli umbri superiore alla media italiana, il Rapporto segnala come fino ai primi anni duemila l’Umbria fosse “importatrice” netta di giovani laureati, nel senso che erano più quelli che restavano o venivano in Umbria rispetto a quelli che sceglievano di andare via.
Dal 2013 il tasso di migrazione netto dei laureati è diventato negativo, crescendo poi progressivamente di anno in anno, con un probabile rallentamento negli anni della pandemia.
L’esodo dei laureati, in cerca di lidi migliori, si accompagna all’incremento di coloro che scelgono di andare a studiare fuori regione, prevalentemente in atenei del Nord Italia: nell’anno accademico 2021-2022, infatti, oltre il 9% di universitari residenti in Umbria risultava iscritto in Atenei del Nord, mentre 10 anni fa tale percentuale era di poco superiore al 3%. Un territorio ed un’Università meno attrattivi, dunque, con conseguente emorragia di “capitale umano” altamente qualificato, il che rappresenta un’evidente perdita per la nostra regione.
Lo studio di Banca d’Italia, abbiamo detto, si focalizza sul 2022, con alcuni highlight sul 2023. Parlando di Pil, è noto che a livello nazionale l’Istat ha calcolato una variazione positiva del primo trimestre 2023 pari allo 0,6%, che pone l’Italia su valori superiori ad altri Paesi europei, inclusa la Germania che, anzi, risulterebbe addirittura in recessione tecnica.
È presumibile che l’economia umbra abbia fatto segnare per lo stesso periodo (primo trimestre) un risultato in linea con quello nazionale. Sulle prospettive per il prosieguo dell’anno in corso pesa, però, il forte crollo della produzione industriale registrato a livello nazionale in aprile, che con un calo del 7,2% su base annua ha segnato la più forte flessione da tre anni a questa parte. Crisi strutturale del modello industriale tedesco – che è il nostro principale cliente – rialzo dei tassi di interesse con conseguente riduzione della domanda di beni durevoli, amento dei costi di trasporto, riduzione degli investimenti in 4.0 ed interconnessione, semiblocco del PNRR, fine del boom edilizio.
Sono tutti fattori che non fanno certo pensare ad un futuro roseo, a livello nazionale, con conseguenti ripercussioni negative probabili anche a livello regionale. L’indice destagionalizzato mensile, per aprile, segna infatti diminuzioni anno su anno in tutti i comparti, con i beni di consumo durevoli calati del 8,3%, i beni intermedi con – 11% e l’energia – 12,2%. Insomma, la vitalità mostrata dal sistema produttivo regionale a seguito della fine dell’emergenza Covid, la vivacità del comparto turistico, rischiano di non essere sufficienti posto che la frenata dell’area tedesca si ripercuoterà pesantemente su un sistema produttivo nazionale fatto prevalentemente di terzisti, caratteristica, questa, ancor più marcata se ci riferiamo al sistema produttivo umbro, dove non sono molti i produttori che stanno direttamente sul mercato.
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