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La “rigenerazione” in Medio Oriente e nel Sahel parte dalla condizione femminile

di Alessandro Vestrelli



Kabul, 26 marzo 2022. Una protesta davanti al ministero dell’istruzione per chiedere la riapertura delle scuole per le ragazze. (Ahmad Sahel, Afp)

Qualsiasi ipotesi di “rigenerazione” non può prescindere dal lato sociale di tale processo, né può fare a meno del ruolo attivo delle donne. Una più esatta definizione sarebbe: non può prescindere dalla complessiva condizione femminile nella realtà in cui si vuole intervenire.

La conferma è arrivata a Città di Castello ed è ripartita subito dopo: da lì si è levata la voce di quattro donne che procedono con tenacia nella loro opera quotidiana di descrizione degli accadimenti che si susseguono nella parte povera del pianeta, sempre più spesso oscurati o deformati dalla narrazione prevalente nella sua parte economicamente più ricca.

«Sono quattro voci femminili che hanno il pregio di aver visto e ascoltato alcune situazioni drammatiche e ci danno la possibilità di uscire da quell’indifferenza in cui stiamo precipitando» - leggiamo nella introduzione ad un instant book, di facile e veloce lettura dato il suo stile giornalistico/colloquiale, pubblicato dall’editrice L’Altrapagina nelle settimane immediatamente successive al convegno nazionale che, da 35 anni, viene tenuto nel “tempio” della cultura tifernate: il Teatro degli Illuminati.



Si inizia con il racconto autobiografico di quello che è successo in Afghanistan sia prima che dopo la seconda calata dei Talebani a Kabul avvenuta, il 15 agosto 2021, a seguito della decisione unilaterale degli Stati Uniti di abbandonare il Paese. Questi ultimi, insieme ai propri sodali occidentali, avevano dichiarato che il loro intervento avrebbe posto fine all’oscurantismo mentre, già durante l’occupazione, esso si era rivelato pieno di contraddizioni.


Malalai Joya

È la voce di Malalai Joya, attivista scrittrice ed ex politica afghana, la quale, nel 2003, a soli 26 anni, fu eletta alla Loya Girga (Grande Assemblea) che avrebbe dovuto stilare la carta costituzionale del Paese, ma, dopo aver denunciato i crimini dei “signori della guerra” venne espulsa, minacciata di morte e ora vive in esilio in Spagna.

Ascoltare o leggere le parole nette con cui lei denuncia i soprusi e sottolinea l’importanza della resistenza, soprattutto quella al femminile, dopo che il suo Paese è ripiombato nell’oscurità fondamentalista, con il 90% della popolazione sotto la soglia della povertà, ci apre ad orizzonti di consapevolezza e ci squaderna davanti agli occhi la necessità del sostegno internazionale ad insegnanti coraggiosi che si impegnano, volontariamente e a rischio della loro vita, nelle scuole clandestine per donne: «l’istruzione è la chiave per liberarsi da questo come da qualsiasi regime oppressivo e violento!».



Mariam Ouédraogo - @ijnet International Journalists' Network

Sconvolgente e drammatica è la testimonianza della giornalista Mariam Ouédraogo su quello che stanno subendo le vittime di stupri di guerra ad opera di terroristi. Mariam, impegnata soprattutto a descrivere le condizioni delle donne nel suo paese (il Burkina Faso), è stata la prima giornalista africana a vincere un premio internazionale per corrispondenti di guerra.

L'impatto del neoliberismo sul continente africano ha contribuito a scavare disuguaglianze insopportabili fra masse affamate e minime élite ultramiliardarie, con selvaggia privatizzazione di istituzioni e servizi.

In pseudo-stati gravati dal debito ingrossato via speculazione finanziaria e con parti del proprio  territorio sotto il controllo di gruppi terroristici, oggi il percorso è costellato di putsch, corruzione, violenze, guerre di varia intensità...L’egoismo neocoloniale della Francia, cui l'Occidente ha, troppo spesso, delegato il ruolo di gendarme dell'ordine costituito, sta incontrando l’ostilità di masse crescenti di africani e aprendo le porte alla penetrazione di nuove potenze prive di un passato coloniale (Russia, Cina, Turchia...), mentre l’Unione Europea stenta a dotarsi di una propria politica estera... 



Francesca Borri

Per Francesca Borri, reporter freelance con due lauree ed un master in Human Rights alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, il giornalismo è «guardare il mondo con lo sguardo degli altri»: nel settembre 2023 scorso era corrispondente di guerra per un importante quotidiano israeliano (Yedioth Ahronoth) e scriveva sul Venerdì di Repubblica. Ha fatto parte dello staff di Mustafa Barghouti, ha vissuto lunghi periodi in West Bank a Jenin: la sua narrazione nel libro si riferisce al fuoco che covava sotto la cenere alla vigilia dei terribili accadimenti iniziati con l’attacco terroristico di Hamas e la cattura di ostaggi il 7 ottobre e proseguiti con l’escalation di guerra a Gaza e in Cisgiordania.

Non si può distogliere lo sguardo da Gaza. Di fronte all’immenso dramma della distruzione di esseri umani uccisi come topi in gabbia, radendo al suolo ospedali, scuole e civili abitazioni al di fuori di qualsiasi legge internazionale e morale, tutto perde di significato. Il cielo si oscura, la coscienza si deprime, l’umanità scompare in un buco nero che assorbe ogni realtà e ogni responsabilità.


Convegno “L’altra metà del cielo” settembre 2023 , Teatro degli Illuminati , Città di Castello - Don Achille Rossi consegna omaggi floreali a Malalai Joya e Francesca Borri

Dopo poco più di sei mesi di guerra il numero delle vittime ha superato i 34mila morti (di cui 14mila minorenni), 1,7 milioni di persone sono in fuga verso il nulla e vivono in tende di fortuna o rifugi temporanei... Nel libro la testimonianza di Borri suona profetica su come, già prima del 7 ottobre, la paura e l’odio la facessero da padroni a Jenin, Nablus, Hebron, Ramallah, soprattutto a causa della arroganza e aggressività dei coloni e della violenza dell’esercito israeliano. Francesca Borri descrive così la nuova intifada dei giovanissimi di Jenin: «hanno al collo la foto del padre ucciso, del fratello martire …vogliono vendicare i propri parenti e si comprano le armi da sé…».

Con le sue parole fotografa il buio di uno scontro senza sbocchi, coincidente con il tramonto di una qualsiasi visione politica del futuro quale era la prospettiva di due stati per due popoli prefigurata negli accordi di Oslo: «Oggi geograficamente non c’è più spazio per uno Stato palestinese».

La quarta voce controcorrente è quella di Lucia Goracci, giornalista inviata di Esteri di Rai News, soprattutto su territorio siriano e iracheno, e inviata Rai a Kabul, dal 2022 è corrispondente estera Rai dagli Stati Uniti nella sede di New York: «Io dico sempre che le donne sono la forza sovversiva più significativa nelle società, soprattutto in quelle, musulmane, che percorro. Quando l’esistente non è equo è evidente che tu lo contesti e provi a cambiarlo».



Lucia Goracci - Foto di: Simona Granati - Corbis/Corbis via Getty Images

Ma spende anche parole importanti sul ruolo che gli uomini possono e dovrebbero svolgere a fianco delle donne: «Uomini ribellatevi per primi voi !!». Si accalora contro «l’informazione intermittente che dimentica gran parte del mondo, cancellandolo con leggerezza impressionante» e poi ci restituisce uno sguardo pungente sulla cattiva coscienza dell’Occidente: «se vai a raccontare ad un kurdo siriano di Kobane che ha combattuto per noi contro l’Isis e poi lo abbiamo abbandonato ai bombardamenti della Turchia di Erdogan o agli afghani che stanno ancora aspettando i barconi della morte per poter venire a esercitare il loro diritto all’asilo, ci ridono in faccia!».

Come Francesca Borri, Lucia pensa che «il giornalista deve essere terzo, il più possibile puro nello sguardo, disposto con grande umiltà a correggere il tiro e modificare la prospettiva che la realtà gli propone». E ritiene questo «un atteggiamento di profonda intelligenza». Entrambe pensano che l’essere sul posto, stare lì, parlare con la gente, sia un tratto distintivo, anzi a volte una precondizione, di un giornalismo di qualità. Viviamo un tempo in cui l’informazione main stream ama correre in soccorso ai potenti del momento, spesso suoi proprietari. Iniziative come la pubblicazione di questo piccolo volume cercano di squarciare il velo della ignoranza, della indifferenza e delle complicità attraverso una informazione coraggiosa, libera e, in quanto tale, preziosa per una democrazia degna di chiamarsi tale. Malalai Joya così concluse il suo intervento a Città di Castello il settembre scorso: «stare con persone come voi ci fa sentire come se ci steste aiutando a portare il peso della nostra sofferenza e dei nostri sforzi e per questo vi siamo veramente grati …Domani non dovremo registrare la fine di un seminario, ma l’inizio di un impegno condiviso !! ».


*Malalai Joya, Mariam Ouédraogo, Francesca Borri, Lucia Goracci sono state le protagoniste del 35° Convegno nazionale de L'Altrapagina tenuto a Città di Castello nel settembre del 2023.

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